
olio su cartone, cm 70 x 89
«Caro Cian, in tanti anni di strada fatta insieme, egli non mi aveva mai lasciato intravvedere che la testimonianza, ahimè, tardiva, che oggi sento il bisogno di dargli, l’avrebbe gradita. Che ad ogni occasione che si presentava di chiedermela, se ne astenesse, lo attribuivo alla sua discrezione, ma più ancora al sapere che la sua arte io potevo solo goderla e che era quindi superfluo, e da parte mia presuntuoso, aggiungessi il mio al coro dei consensi. D’Altronde, come dire di lui senza parlare della pittura che, andandosene, ha lasciato come una sua seconda duratura presenza? Sorridente presenza: trasferito sulla tela, il sorriso che lo accompagnò tutta la vita. Era un sorriso fatto di intelligenza, di comprensione, di disincantato ottimismo, e che pareva a volte venirgli da una fanciullezza del cuore tanto era genuino; ma che in realtà nasceva dall’armonia ch’era in lui, da quell’innato senso della misura propriamente greco che testimoniava la sua origine. A rispecchiare una così serena visione del mondo, la figura umana di rado si presta: di qui, la fedeltà di Paolo Rodocanachi al paesaggio, agli aspetti della natura ch’egli traduceva per la sua gioia, e la nostra, in musica di colori. Certo dipingere gli fu naturale come respirare…»
Camillo Sbarbaro, 1958

Nel maggio del 1959, a un anno dalla scomparsa, il Circolo della Stampa di Genova dedica una mostra a Paolo Stamaty Rodocanachi. In quell’occasione Camillo Sbarbaro, nelle righe introduttive del catalogo, riesce a descrivere il garbo e l’innata sensibilità di un pittore capace di dare vita a opere sospese nel tempo, sommesse e permeate di elementi poetici.
Nell’esprimere l’emozione individuale senza perdere di vista le qualità plastiche e oggettuali della rappresentazione, Rodocanachi si fa interprete – denotando comunione di intenti con artisti quali Saccorotti, Rambaldi e Salietti – di quell’insieme di requisiti formali riconducibili al Novecento italiano. La ricerca del pittore rimane tuttavia autonoma e costantemente segnata da caratteri lirici e intimisti, da una sintesi ottenuta mediante campiture colorate e luminose, in direzione di un’atmosfera velatamente metafisica.
Il pittore dipinge nel silenzio del giardino della sua villa di Arenzano, animato di frequente dalla presenza di Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale ed Elio Vittorini, per i quali la moglie Lucia Morpurgo curava le traduzioni dei classici stranieri, anticipando il gusto letterario che avrebbe conosciuto grande diffusione nel dopoguerra. Presenza fissa alle Promotrici e alle Sindacali genovesi, l’artista espone in occasione dell’Exposition des Arts Décoratifs di Parigi nel 1925, partecipa alla Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma nel 1935 e nel 1939 e viene invitato alla Biennale di Venezia nel 1934, nel 1936 e nel 1940. In quest’ultima occasione, ospitato presso il padiglione della Grecia, l’artista espone 12 opere; in catalogo i suoi paesaggi vengono descritti come «sobri e misurati, frutto di un’arte fatta di lavoro sapiente ed equilibrato». Nel 1949 è nominato accademico di merito all’Accademia Ligustica di Belle Arti.

Galleria Arte Casa presenta quattro rilevanti dipinti di Rodocanachi, nei quali il pittore affronta il tema del paesaggio, selezionati in base a criteri qualitativi riconducibili all’epoca di realizzazione, alla provenienza e al curriculum espositivo e bibliografico.
Entroterra di Arenzano, Paesaggio con casa e Case di Acqui, esposti in occasione della mostra antologica allestita presso il Museo dell’Accademia Ligustica da Germano Beringheli e Mauro Marcenaro nel 1977, provengono dalle collezioni dell’Enel di Savona. Le prime due, ascrivibili agli anni Tranta del XX Secolo, esprimono il debito nei confronti delle modalità compositive novecentiste. Case di Acqui invece è lievemente successivo e, come rivela il corredo di cartigli apposti sul retro, risulta inoltre essere stato esposto presso la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano e in occasione della III Mostra Nazionale “Premio città di Monza”.

Infine un Paesaggio, un’assolata istantanea della campagna basso piemontese ascrivibile agli anni Quaranta, è capace di catturare come poche altre la poesia del quotidiano. Un piccolo olio da cui traspare, ritornando alle parole del poeta Camillo Sbarbaro, «la fedeltà del pittore al paesaggio, agli aspetti della natura ch’egli traduceva per la sua gioia in musica di colori…»