
«È opera di tali qualità che, da sola, renderebbe imperitura la fama del Barabino».
Edoardo De Fonseca, Nicolò Barabino, 1892
Così Edoardo De Fonseca – autore nel 1892 della prima monografia dedicata a Nicolò Barabino – descrive il grande affresco Galileo Galilei al tribunale dell’Inquisizione che, insieme a Carlo VIII e Pier Capponi, decora le prestigiose sale di Palazzo Celesia a Genova. L’ampio programma iconografico del palazzo di Via Assarotti esprime quel sentimento di attaccamento alla nazione che, nell’Italia successiva all’unificazione, per dirla con Franco Sborgi, diviene «simbolo degli ideali di progresso della società contemporanea». Se la determinazione di Galileo è il simbolo del progresso scientifico a scapito dell’oscurantismo culturale, l’energia di Pier Capponi personifica la lotta per la libertà contro le imposizioni dell’oppressore straniero.
Lungo e articolato è il processo di ricerca storica e di elaborazione formale che il pittore affronta nella realizzazione del ciclo narrativo, volto non solo a raggiungere un elevato livello qualitativo, ma anche a dare libera espressione alla sua idea di arte, che si pone tra l’accezione alta del romanticismo storico di Hayez e le istanze di rinnovamento pittorico dei Macchiaioli, evidenti in modo particolare negli studi preparatori.

La Galleria Arte Casa propone le tavolette preparatorie degli affreschi sopracitati, episodio iniziale del percorso che conduce il pittore alla realizzazione dei due grandi capolavori commissionati nel 1872. L’accostamento delle masse colorate si sostituisce all’impianto disegnativo favorendo consistenza formale e freschezza cromatica alla composizione. La caratterizzazione psicologica dei personaggi, laddove alla delusione di Galileo si affianca l’enfasi di Pier Capponi, permette al pittore di «accordare il senso della rappresentazione storica con la fenomenologia della realtà», come viene puntualmente sottolineato da Giuliana Biavati nel testo in catalogo dell’ultima grande mostra dedicata al pittore.
Struggente è il gioco di chiari e di scuri che inonda la solitaria figura di Galileo che si avvia verso l’uscita della sala situata nella parte destra dell’opera. Solitudine rafforzata dalla grande quantità di figure che ne occupa invece la parte sinistra, raccolte intorno al mappamondo armillare. Lievemente arretrato rispetto al prelato in abiti viola, pochi tocchi di colore delineano il frate domenicano in abiti scuri, il cui sguardo severo è a noi noto grazie allo studio conservato presso la Galleria d’Arte Moderna di Genova. Notevole ricchezza cromatica, seppur raggiunta in maniera rapida e immediata, caratterizza l’arredamento della sala, i panneggi, gli stucchi, i candelieri, i tappeti, gli scranni, i grandi quadri appesi alle pareti.
La medesima qualità caratterizza la seconda tavoletta, in cui è rappresentato il moto dell’animo del gonfaloniere fiorentino che si reca al cospetto di Carlo VIII al fine di ottenere maggiore libertà per gli abitanti di Firenze. Il rapido movimento del braccio di Pier Capponi aumenta la concitazione della scena, creando il movimento dei capitoli di resa ridotti in frammenti che svolazzano verso il pavimento e causando l’istintiva reazione del piccolo cane bianco. Agitazione che tuttavia non coinvolge l’altro piccolo cane, che rimane mansueto ai piedi del trono del sovrano straniero.

Esposte in occasione della Mostra di pittori liguri dell’Ottocento, allestita a Palazzo Rosso nel 1938, le due raffinate opere sono un rilevante esempio della vicenda artistica di uno dei pittori più apprezzati dagli appassionati e dai collezionisti.
Altro pregevole esempio dell’operatività di Nicolò Barabino è il Frate che ride, studio preparatorio per la figura del frate del Colombo deriso a Salamanca, episodio centrale del ciclo decorativo di Palazzo Orsini di Genova. Attraverso la risata del monaco il pittore stempera la severità del quadro storico e, unitamente all’attenzione riservata all’incidenza della luce e all’immediatezza esecutiva, raggiunge livelli di notevole modernità.
Seppur caratterizzate dalla straordinaria qualità tecnica di Barabino, le opere finali risultano più composte e solenni e si inseriscono a pieno titolo nella tradizione della grande pittura decorativa che, secondo il gusto della nobiltà e della borghesia mercantile cittadina, ha reso i palazzi genovesi famosi in tutta Europa.

